domenica 2 febbraio 2014

Apologia dell’Animale Arabista


Perché elogiare la scelta dello studio dell’arabo, dovrebbe essere illegale!...?...!!



Riconoscere l’animale arabista, habitat e attitude

L’arabista di Caserma Sani si riconosce dalla sua andatura. Furtivo si aggira tra le aule; in preda alle onde di un impetuoso oceano semitico, cerca un rifugio sicuro su atolli sperduti, come le lezioni di glottologia (perché glottologia all’arabista medio, gli spiccia casa). Ingobbito dal peso del Traini sulla schiena, lo si distingue nella massa degli orientalisti soprattutto perché lui è consapevole. Consapevole che La Caserma Sani non si chiama così solo per motivi di contingenza storica. La Caserma è più un luogo di prigionia interiore che l’arabista medio scopre nel corso dei 3+2 anni che passerà a Via Principe Amedeo, civico 184. 
Ma arabista non si diventa. Quella dell’arabista non è una passione, non è una vocazione … è un istinto atavico, primordiale … insomma na condanna! Come spiegare altrimenti quella scelta volontaria di affrontare tutto ciò che comporta l’essere arabista? Ma ve la ricordate la storiella della rana e dello scorpione? (Che se pure non fosse di Esopo, è comunque stata citata da Orson Welles in Rapporto Confidenziale, ma soprattutto ha donato il nome alla 2x2 di How I Met Your Mother, cioè è na robba!) Insomma dire che lo scorpione punge la rana di proposito non è credibile, lo scorpione lo fa perché è la sua natura … l’arabista lo fa perché è la sua natura! Con la sua iscrizione alla Sapienza sta pungendo la schiena della rana che è la sua unica ancora di salvezza, la sua zattera di salvataggio. Morta la rana, l’oceano semitico è la sua nuova, unica, spaventosa casa. Un oceano percorso da diverse e insidiose correnti e che comprende svariati mari: c’è la Corrente Burocratica (che se la imbrocchi non ne esci più), c’è il Mar del SORT (SoDiNonSapereOsteggioUnaFastidiosaIgnoranzaMaRimangoComunqueQuiTantoMePaganoCoLiSordiTua) e c’è l’Arcipelago della Supercazzola con le sue isole L-FIL-LET/11 e L-ART/08 e M-STO/05. Una specie di Triangolo delle Bermuda che se ci finisci dentro, i radar orientalisti non ti intercettano più. E tra Operette Morali, leggi di Keplero e World Music non sai mai bene quel che è veramente successo, perché quello che accade nell’Arcipelago della Supercazzola, rimane nell’Arcipelago della Supercazzola.
Ma andiamo avanti, conosciuto l’animale arabista e il suo habitat, conosciamone l’evoluzione. 
IL PRIMO ANNO 
Ovvero l’incoscienza, la leggerezza, il sentirsi ancora na cifra smargiassi. Insomma l’anno del Grande Bluff.

Durante il primo anno l’animale arabista mantiene un inconfondibile aplomb (che dimenticherà però molto presto). Tra una lezione sull’alfabeto e un po’ di storia di cammelli, profeti e colonialismo, l’animale arabista trova ancora il tempo di sentirsi un fico, uno “avanti col programma”(sensazione che si trasformerà ben presto in un “avanti col disagio”). Sai a quelle cene, dove poi ti chiedono che studi e tra quelli di Lettere, di Filosofia e di Scienza Politiche tu ti senti epico e anche un po’ snob? (vabbè che questa è una sensazione che accomuna un po’ tutti gli studenti della Sapienza che si confrontino con quelli di Lettere, Filosofia e Scienze Politiche. Si noti bene che non ho voluto infierire parlando del DAMS). Beh è proprio lì che l’animale arabista comincia a fare il fantastico. Dispensa foglietti con su scritto il nome in arabo di tutti i malcapitati a quella cena. Attacca siluri improbabili sui diritti dei Palestinesi. Ti corregge con sdegno se dici cose del tipo “Perché, in Iran non si parla arabo?”. Inorridisce quando scopre che non sai dove è la Transoxiana. Illuso e compiaciuto pensa: “è solo qualche mese che studio arabo e guarda già come me la scoatto, quasi quasi co sto arabo si rimorchia pure”, pensa l’animale arabista, convinto.
Ed è qui che si disvela in tutto il suo essere potenzialmente mortale il Grande Bluff. Perché nun è vero! Perché nun se rimorchia manco un po’, perché c’è poco da fa i coatti! Ma questo l’animale arabista non lo sa ancora … è come quando fai una mano a la texana: in mano c’hai un asso e te senti er mejo, giochi il tutto per tutto, rilanci a ogni mano, vai all-in sul River e già te senti la vittoria in tasca. Ma ti eri scordato una cosa fondamentale: il Kicker. E il Kicker era un cazzo di due! Ma il Kicker è bastardo, è subdolo e l’animale arabista al suo primo anno non s’è ancora accorto del suo 2! E totalmente inconsapevole del destino che lo aspetta, te lo vedi lì che alla domanda “perché studi arabo” si sente ancora fiero e in diritto di risponderti con qualche frase criptica e oscura, che miri solo a farti capire che se anche lui poesse pure che non lo parla inglese o francese, ma questo è solo perché lui è oltre! Lui studia arabo! ( e persiano nei ritagli di tempo). 
IL SECONDO ANNO 
Ovvero i primi segni di cedimento, la smargiasseria che vacilla. Insomma la Guerra di Trincea.

Il secondo anno è una kombo precaria di sensazioni ed esperienze contrastanti. Il fatto che l’animale arabista non sia ancora in grado di  pronunciare una mezza parola in arabo che abbia un senso compiuto (le preposizioni e i pronomi non valgono), è controbilanciato dalla sua convinzione che in fondo è normale: il secondo anno è appena iniziato e l’arabo è arabo per davvero! Queste mere giustificazioni cominciano a vacillare un po’ quando il nostro animale incappa nel CAPO XXVIII di quella entusiasmante grammatica del 1937, dove la ormai defunta autrice (la nostra cara Lady Vivy) con la sua introduzione si augura che gli insegnanti delle nostre Colonie vogliano essere i suoi incorruttibili censori.
A parte la confusione rispetto alle Colonie, è quell’improbabile tentativo di spiegare le regole dei verbi deboli che preoccupa di più l’animale arabista. Quel capitolo è un attentato alla sua autostima e alle sue certezze. Una vera e propria dichiarazione di guerra. Ma in fondo, al primo piano, Ezzedin continua con le sue interminabili lezioni sull’ufficio postale, a parlare di francobolli e carta da lettere come se non ci fosse un domani. E questo, regala al nostro animale un po’ di pace interiore, di speranza.
Ma la realtà è un'altra. La Guerra di Trincea è appena iniziata . Il nostro bipede diversamente arabo si aggira affannato e perso tra i corridoi della Caserma. Il pericolo è ovunque. Verbi hamzati, plurali fratti, diptoti, passivi e la temibile famiglia Kana con tutte le sue sorelle, cugine, cognate, zie e nuore. L’animale arabista esausto striscia tra i corridoi dell’università, si mimetizza tra i bagni del secondo piano, pieni di noodles precotti che otturano i lavandini, e arrancando arriva al giorno del suo esame, dove comincia a rispondere agli attacchi con un esile armamentario. Bombe carta a base di vocali brevi, che vengono fatte esplodere in maniera randomica sul testo d’esame! Molotov rudimentali che servono a sparare coniugazioni di verbi deboli alla cazzo di cane durante l’orale.
La magia del primo anno è ormai svanita, quasi del tutto. L’animale arabista però non lo accetta, non ancora, ma intanto la smette di fare il coatto in giro visto che all’esame ha dovuto accettare un 18. 
IL TERZO ANNO 
Ovvero il disvelamento totale, l’inquietudine, il giro di boa. Insomma l’anno della Vergogna.

L’estate ha donato al nostro arabista un po’ di sollievo. Due spaghetti alle vongole a Fregene e il mai-ci-fu-cosa-più-fastidiosa-del Gong del Singita lo hanno stordito abbastanza per dimenticare gli orrori dell’esame di luglio ed andare avanti con una vita almeno in apparenza normale. E poi c’è la lieta novella: ha vinto la borsa di studio, può finalmente andare là, in quelle magiche terre che hanno dato vita alla cultura araba. Paesi lontani che sono i diretti responsabili del suo calvario. Ma lui è contento, entusiasta. In fondo gli si prospetta una vera e propria missione di peace-keeping: porre fine alla Guerra di Trincea con accordi incerti, e sperare in un futuro più roseo. Quel che in questo momento gli sembra essere un' altisonante Dichiarazione Balfour, si rivelerà col tempo più simile alla Corrispondenza Husayn-McMahon. E in questo scenario, gli Accordi Sykes-Picot sono quelli che faranno sì che gli esami di arabo, fatti in un paese arabo con docenti madrelingua che parlano pensa un po’ arabo, non gli verranno riconosciuti al suo ritorno. E gli esami delle altre materie fatti nell’università ospitante dovranno essere integrati con un minimo di un paio di libri da mille pagine; così tanto per essere sicuri che l’animale non vada in giro a fare il “lello” e a spassarsela in quei postacci mondani e pieni di distrazioni come Irbid, Giordania.
Ma siamo andati troppo oltre. L’animale arabista è ancora gasatissimo per la buona notizia. Fiducioso parte con la sua valigia piena zeppa di maiale e Amaro del Capo e si avventura verso l’ignoto. Ma l’eccitazione è subito interrotta al suo arrivo. La sua incapacità di comunicare cose semplici ed essenziali lo confonde. Cose come, “ho sete”, “ho fame” e “brutto porco, non è che siccome sono occidentale questo ti autorizza  a pensare che non aspettavo altro che darla a te!” sono per lui impronunciabili. Questo periodo migratorio si aggrava quando al Centro Linguistico lo schiaffano al primo livello, dove ci sono i non-arabisti, quelli che sono capitati lì per caso, per viaggio, per sfizio e che dell’arabo in fondo sti cazzi. Uno sconvolgimento totale del suo habitat che non si arresta nemmeno davanti alle sue feroci proteste, come quando intriso di profondo imbarazzo ricorda ai nuovi docenti che sì, al placement test avrà pure preso 5 su 100, ma lui studia arabo da tre anni!!! Il motto è V per Vergogna. E questo anno fuori, rappresenta il giro di boa, l’esperienza dalla quale non si potrà più prescindere; la necessaria accettazione del fatto che la sua vita di arabista è un inferno e che lui nulla può contro la furia delle fricative faringali sonore (vedi la dolcissima-quanto-mai-romanticaع !) 
LA MAGISTRALE 
Ovvero la sindrome di Stoccolma, il periodo della caccia, l’incomunicabilità. Insomma il Dopo Guerra.

La Guerra di Trincea è terminata. L’anno della migrazione è finito. Il nostro animale arabista rientra nel suo habitat naturale che è ormai completamente sconvolto dagli effetti del Dopo Guerra. Nulla è più come prima. Dei suoi compagni di avventura del primo anno, ne sono sopravvissuti pochi. I nuovi iscritti sono sempre meno. Il circolo degli arabisti è sempre più ristretto, tutti conoscono tutti. Gli stessi che erano in Tunisia e in Siria erano quelli che poi hai ritrovato in Giordania e Marocco. Tutti riciclano le stesse storielle sui Koreani (che poi un giorno qualcuno me lo spiega perché cazzo stanno ovunque vai), che anche loro erano sempre gli stessi, ma confondevano le idee a tutti usando in ogni paese dove andavano un nuovo nome arabo. Lo scenario attorno a lui è desolante: gli si prospettano altri due anni di ridondante ripetizione di quello che ha già fatto alla triennale, con la differenza che l’entusiasmo e la ficaggine, hanno ceduto il passo all’inquietudine e alla vergogna. Sarebbe il momento perfetto per decidere di mollare, di lasciare tutto e di tornare a vivere una vita normale. Ma no, no! L’arabista non può: vi ricordate lo scorpione, la rana, bla bla!?!
Ed è così che l’arabista si iscrive alla Magistrale. Ed è proprio adesso che comincia quel periodo buio in cui non può smettere di pensare a quel paese arabo dove ha lasciato il cuore. Gli manca tutto di quel posto: la dieta invariabilmente a base di pollo e riso, gli insulti a sfondo sessuale a ogni piè sospinto, la necessità di imparare la fusha e le 90 versioni del dialetto locale per essere sicuri di potersi procurare beni di prima necessità. Alcuni la chiamano sindrome di Stoccolma, altri più romantici come il poeta Giulio Ciava la definiscono Mardoriente.
Fatto sta che è questa condizione a portare il nostro animale al periodo della caccia. La preda è solitamente un malcapitato madrelingua arabo. Alle prime avvisaglie che la preda individuata è quella giusta, parte il pistolone! Un minimo di sei ore di interminabile conversazione in arabo, e nonostante la preda non voglia (o semplicemente nun te capisca perché in fondo il tuo arabo fa ancora abbastanza cagare) e si dimeni in cerca di fuga, il rapace animale arabista non desiste dal suo intento. Lui deve da parlà arabo perché non vuole e non può dimenticare!!!

In questo stesso momento comincia il periodo dell’incomunicabilità. Parole come inshallah e ya3ni a nulla valgono nel suo habitat occidentale. Si ritrova così a provare col linguaggio del corpo, che però mentre lui cerca di comunicarti “con calma fratè, aspetta”, l’altro capisce “ma che cazzo vuoi?!”, provocando inevitabilmente insanabili incidenti diplomatici.

L’ animale arabista si sente solo, incompreso, attanagliato dalla mancanza del suo paese arabo. L’osservatore attento riconosce questo suo periodo buio scorgendolo davanti al pc intento ad ascoltare il muezzin su youtube, contrito e in lacrime.
Ma il nostro arabista deve andare avanti, non foss’altro perché lo aspetta una nuova eccitante avventura: la seconda tesi … perché la prima nun ja abbastava!!! E se alla triennale potevi scegliere tra una decina di Prof, alla magistrale ne sono rimasti due, X e Y. Sono sempre loro due, sempre gli stessi, che si aggirano per la facoltà e che con abili cambi di vesti e lesti scambi di parrucche e accessori, si improvvisano ora Prof di arabo, ora di diritto, e a volte puliscono i cessi e annaffiano le aiuole. Sembra che anche l’Abbate sia stata sostituita da un ologramma. Li chiamano tagli all’istruzione (ma tutti ben ricorderanno quanto costò alla Gelmini il “tunnel per neutrini” che andava da Ginevra al Gran Sasso; ovvio che per l’arabismo non avanzò più nulla). Ma se l’arabista non fosse convinto di fare la tesi con nessuno dei due Prof rimasti? Potrebbe sempre provare a chiedere al gabbiotto delle guardie, ma il rischio è che anche lì, ad accoglierlo siano sempre loro: gli onnipresenti X ed Y. 
CONCLUSIONE 
Ovvero della fine di un era, del futuro, dei ricordi. Insomma scopri se sei anche tu un animale arabista.

La carriera accademica dell’arabista termina così. Che non gli venga in mente di fare un dottorato per carità!!! Non oso nemmeno immaginare! (cioè li avete visti i dottorandi a Sani? No dico, avete presente?)
E poi?
E poi chissà … mille sono gli scenari possibili, mille le strade che porteranno l’animale arabista verso un futuro … troppo frizzante! Ma quei 5 (che poi facile che sono diventati 6/7/8) anni passati a Sani faranno parte del suo bagaglio per sempre. Ricordi ambigui e sgranati di un percorso che era destinato a pochi. Come dimenticare le ore passate a prendere il sole sul prato, tutto pur di non seguire la mai-ci-fu-qualcuno-più-temuto-di-lei Calasso? E la dolce coppia di fidanzatini che tutti i giorni si menevano sotto ai portici? E i panini scaduti del bar che sia mai che te faceva no scontrino insieme a quella ciofeca di caffè? Per non parlare della biblioteca, chi entrando non ha mai pensato “voja de lavorà sartame addosso, informatizza tu che io mo no posso”? Chi non s’è fatto i migliori amici di sempre alle lezioni di Changhiz? Quanti non hanno scelto francese alla triennale perché non gli andava di andare a Mirafiori? Chi non ha rimandato l’esame di Noci per un 3-4 anni? Chi durante una pausa a glottologia non s’è fumato una sigaretta con la Ciancaglini parlando del più e del meno e delle trentordici lingue che parla-conosce-studia?
E se il lettore dubbioso si starà chiedendo “sono forse io un animale arabista?”. Beh la prova inconfutabile sarà questa: se leggendo questo interminabile sfogo catartico ne avrete colto la vera essenza, beh signori miei allora siete dei veri animali arabisti! La vera essenza è che nonostante il poco celato astio che pervade queste righe, in realtà questa è una lettera d’amore (e d’odio certo, ma anche d’amore) dedicata a Caserma Sani, ai suoi gloriosi fondatori, alla Giordania, ai miei amici arabi, al falafel, alla bellissima lingua araba e ai suoi incomprensibili e meravigliosi dialetti, a tutti quelli che come me sono e saranno sempre arabisti.

Un arabista è per sempre!